Ogni campo scout che si rispetti inizia ben prima dell’effettiva partenza. Vi dirò di più, inizia ancora prima di preparare lo zaino. Ogni campo scout che si rispetti inizia ancora prima che cominciamo a discutere il periodo, la meta, chi viene e chi no. Ma allora, quando inizia?!
Ogni campo scout che si rispetti nasce in primis nei pensieri di ogni esploratore, di ogni lupetto, di ogni rover e anche di ogni capo quando, persi nelle conversazioni, si dice “Ma quella volta, al campo del mio secondo anno…”, oppure “Ti ricordi quella volta al campo che…”, e allora lì e in quel momento inizia a prendere forma il mito del “Campo Scout”, a quella cosa lontana nei ricordi che porti dentro, sfocata e nitida al tempo stesso; non solo quello passato, ma dentro la coscienza di ognuno emerge spontaneamente il pensiero del prossimo.
Io voglio raccontarvi, dalla nascita alla fine, di questo mio ultimo Campo Invernale Rover 2017.
Se mi chiedessero di descriverlo in una sola parola sarebbe difficile. “Cos’hai portato dentro di questo campo, Clara?” Ecco, io penso che risponderei “Tutto.”
Non c’è niente che mi dimenticherò, ho impresso ricordi troppo importanti.
Lo ammetto, all’inizio son partita col dire: “Ma sono tre giorni lunghissimi, come faccio a stare isolata per così tanto tempo dal mondo, non prenderà neanche il telefono. Mi tocca passare lì il compleanno, io non ho voglia.” Io ve lo posso giurare che niente fu più sbagliato. Ma per farvi entrare nel vivo di quest’esperienza e farvi comprendere il mio elogio, devo cominciare a raccontare tutto dall’inizio.
Era una mattina fredda quella del 2 gennaio. La gente doveva ancora smaltire i cenoni delle feste e alcuni l’after del Capodanno. Facce insonnolite cominciarono a spuntare in Viale De Gasperi, in quel di Bassano Del Grappa, radunandosi tutti in piccoli gruppi, sotto un cielo apocalittico. Il bus era già lì, pronto a portare i poveri Rover della Compagnia Avalon in una remota località della zona: Lepre. All’ora della partenza, la gente cominciò a salire in bus con aria stanca.
Arrivammo diverse ore prima del pranzo, giusto il tempo di organizzare le attività. Le stanze erano fredde ma il salotto, tutto sommato, accogliente. C’erano giochi da tavolo sparsi ovunque e così ci perdemmo a fare piccole gare. Al momento del pranzo…la notizia: l’acqua non c’era. Non solo quella potabile, ma neanche l’acqua piovana. E mo’?!
Cominciammo dunque a versare intere bottiglie di acqua per lavare i piatti, le mani, i denti, mentre per quanto riguarda lo sciacquone c’era l’acqua raccolta dal pozzo lì vicino. Sembrava l’inizio di un incubo…
Proposi una passeggiata a chi aveva già finito di mangiare, così andammo in un campo a qualche minuto da lì a goderci il sole d’inverno, a vederlo sciogliere la brina dietro di noi. Correre giù per le colline in pendenza si rivelò essere esilarante: finimmo col rotolare, inciampare e ridere come bambini. A poco a poco, anche tutto il resto del gruppo ci raggiunse. In un orizzonte ricoperto di brina, ci ritrovammo a salire tutti insieme in cima a una piccola collina. Il nostro Capo Compagnia, Carlo, aveva un roverino in mano. Cos’è un roverino? Un roverino è un anello di corda attorcigliata in un modo particolare, a cui avevamo lavorato quella stessa mattina. A cosa serve un roverino? Un roverino serve a giocare a roverino. E cos’è IL roverino? Il roverino è un gioco molto simile alla pallacorda, in cui i giocatori devono lanciarsi l’anello fra loro fino ad arrivare davanti alla propria porta, sorvegliata da un immobile portiere; se nel gioco del calcio l’obiettivo è fare goal superando la difesa, nel roverino l’obiettivo è proprio l’opposto: bisogna cercare in tutti i modi di far arrivare l’anello di corda al proprio portiere. Ovviamente ha vinto la mia squadra. Ah no, dovevo dare un punto di vista oggettivo? Volevo dire, è stato davvero molto divertente!!
La sera è trascorsa con l’attività di cineforum, aperta da una discussione sul tema del razzismo. Il film che è stato scelto era “American History X”; non tutti sono rimasti impassibili davanti a questi toccanti argomenti, anzi, alcuni hanno anche versato qualche lacrima. In realtà il momento del confronto è utile perché fa vedere punti di vista anche molto diversi, su cui rimuginare. Anche quella serata passò e tutti ci coricammo nelle nostre stanze esposte al soffice tepore della stufa.
Il secondo giorno fu quello un po’ più problematico per quanto riguarda il risveglio. Il programma, infatti, prevedeva un “hike” (ovvero un’escursione) subito dopo la colazione. Non eravamo psicologicamente pronti all’inizio, ma andare fino al centro del paese a prendere del pane per poi attraversare un sentiero immerso nella natura non fu affatto male. Anzi, a un certo punto trovammo un laghetto ghiacciato che, se pur piccolo, ci ha donato molte risate: ci mettemmo infatti a pattinare e a fare scivoloni. Non sto neanche a dirvi quante foto abbiamo scattato e quanto esse fossero perlopiù imbarazzanti… But, WE L(H)IKED IT!
Tornati a casa, il pomeriggio è trascorso parlando dei programmi per il resto dell’anno (convivenza, campo estivo, San Giorgio, Giornata del pensiero…). La sera invece (sì, era già l’ultima sera), dopo un’altra attività di riflessione ma anche di rilassamento, siamo stati su un po’ di più per cantare, al suono di una chitarra, a mangiare dolci e patatine, a fare festa (ho effettivamente festeggiato così il mio compleanno!), poi chi voleva andava a dormire e chi voleva restava davanti al fuoco, a giocare a “Pindi”, “Dobble” o altri giochi da tavolo. Arrivarono le tre e mezza e anche i meno stanchi si abbandonarono al sonno, nella consapevolezza che il giorno dopo sì sarebbe finita una bellissima avventura, ma che ormai le basi per altre ancora più belle erano state poste. Ora, si tratta solo di organizzarle e di...VIVERLE!!
Campagnolo Clara